"Una Lady Macbeth" censurata da Stalin

Scritto il 06/12/2025
da Giovanni Gavazzeni

La micidiale stroncatura anonima della "Pravda" era emanazione diretta del tiranno

Una Lady Macbeth del distretto di Mzensk, l’opera in quattro atti e nove quadri che domani inaugura la stagione 2025/26 del Teatro alla Scala di Milano con la direzione musicale di Riccardo Chailly e la regia di Vasily Barkhatov, suggella la ricorrenza dei cinquant’anni dalla morte del compositore russo e nello stesso tempo riflette nella sua tormentata storia esecutiva le immani sofferenze di un grande compositore che visse tempi di follia e violenza totalitaria.
Per la sua seconda opera lirica, dopo Il naso da Gogol, Šostakovic scelse il cupo racconto dello scrittore Nicolaj Leskov, pubblicato nel 1865 nella rivista di Dostoevskij, Epocha.
Era la truce storia della bella Katerina, malmaritata ad un ricco mercante che tradisce per il bellimbusto Sergej. Per coprire l’adulterio prima uccide il tirannico suocero, poi il marito. Condannata alla Siberia con l’amante, umiliata e tradita da questi con un’altra prigioniera, si uccide gettandosi nel lago ghiacciato trascinando con sé la rivale.
Il musicista aveva sottolineato di essersi rivolto a un «classico» come Leskov per trovare caratteri forti, autentici, credibili («Tutti i libretti che mi sono stati proposti erano estremamente schematici. I personaggi non suscitavano in me né amore, né odio, erano tutti stereotipati. Il carattere dei personaggi deve essere tracciato in maniera particolarmente espressiva e vigorosa»). Non «eroi» progettati per l’edificazione di un piano quinquennale, ma persone in carne ed ossa per cui si poteva nello stesso tempo «ridere convulsamente e piangere a calde lacrime». Soprattutto il compositore aveva voluto trattare il tema delle sessualità come era stato fatto solo nella Carmen di Bizet e nel Wozzeck di Alban Berg, senza avvertire che con Stalin si era chiusa la possibilità di trattare certi temi come negli anni Venti.
Le modifiche apportate al soggetto di Leskov nel libretto redatto con lo scrittore Aleksandr Prejs miravano a umanizzare la protagonista che comunicava allo spettatore i rimorsi della sua coscienza, il pentimento, suscitando compassione, come se le sue vittime, essendo persone ingiuste e crudeli, si fossero procurate la propria rovina.
La Lady Macbeth al suo battesimo, il 22 gennaio 1934, colse un successo clamoroso, sia a Leningrado che due giorni dopo a Mosca, regista la leggenda vivente del teatro russo, Vladimir Nemirovic-Dancenko. Un successo che varcò l’oceano giungendo, grazie all’impegno del direttore polacco Arthur Rodzinski, in America e si propagò in Europa.
Poi, il 28 gennaio 1938, apparve un articolo sulla Pravda, «Caos anziché musica». Articolo anonimo, ma che tutti sapevano emanazione diretta del pensiero di Stalin.
Oltre la condanna totale del suo «naturalismo volgare», opposto ai valori del realismo socialista («Si è sacrificato il talento di scrivere della buona musica»), c’erano le minacce («Si tratta di un gioco astruso che può soltanto finir male»).
Avvertimento che di solito era preludio ai bagni penali o all’eliminazione fisica. Ma quali furono le ragioni che spinsero il vertice sovietico a condannare un compositore, cancellando l’opera da qualsiasi rappresentazione?
Lo ha spiegato il musicologo Manašir Jakubov: Šostakovic, non importa se inconsapevolmente o intenzionalmente, «ricreò nell’opera quell’orribile atmosfera di menzogna e di violenza in cui si trovava il suo popolo.
Quell’atmosfera nella quale virtualmente quasi ciascuna persona era pronta o poteva involontariamente diventare delinquente o carnefice. Quell’atmosfera in cui lui stesso già presentiva l’avvicinarsi della tragedia».
Perché oltre alla compassione per la sorte tragica di Katerina, la Lady Macbeth «suscita in noi l’orrore di fronte a una vita in cui i carnefici diventano vittime e le vittime carnefici; e non vi è alcuna via d’uscita da questo sistema di rapporti. L’orrore davanti a un sistema di rapporti nel quale la felicità è possibile solo a prezzo dell’infelicità altrui e l’omicidio può, anche se solo da un certo punto di vista, essere considerato come un atto morale ed essere giustificato». L’opera di Šostakovic non è una giustificazione di delitti, ma un poema tragico sull’irrealizzabilità dell’amore».