L'ex pm di Garlasco e l'indagine pilotata su Fontana

Scritto il 20/10/2025
da Luca Fazzo

Appetiti sulla sanità dietro l'inchiesta poi fallita. Il governatore sentito come teste

Una inchiesta è stata usata come un'arma impropria, per aprire la strada al comitato d'affari che ruotava intorno alla Procura della Repubblica di Pavia. Questa è la ricostruzione che sta prendendo forma nel fascicolo che ha come indagati l'ex procuratore Mario Venditti e il suo ex sostituto Paolo Mazza, condotta dalla Procura della Repubblica di Brescia sull'onda del caso Garlasco. L'indagine che Venditti e il pm Mazza (oggi in servizio a Milano) sono sospettati di avere piegato agli interessi dei loro amici è quella che all'inizio del 2020, in pieno Covid, colpì i vertici del Policlinico San Matteo, il grande ospedale pavese. Vennero incriminati per peculato e turbativa i vertici dell'ospedale, a partire dal presidente Alessandro Venturi. E Venditti spinse l'indagine fino ai massimi livelli della politica regionale, mandando la Guardia di finanza a sequestrare il telefono del presidente della Regione Attilio Fontana. La mattina del 23 settembre 2020 le fiamme gialle mandate da Venditti bussarono alla porta del governatore, si fecero consegnare il suo telefono e ne estrassero tutti i contenuti.

Quella indagine finì in nulla. Ma ora sulle ragioni che spinsero Venditti e Mazza sta indagando la Procura di Brescia, che prima dell'estate - secondo quanto risulta con certezza al Giornale - ha convocato e interrogato a lungo come persona informata sui fatti il presidente Fontana. L'interrogatorio di Fontana è stato condotto dal procuratore capo Francesco Prete e dal pm Claudia Moregola, lo stesso pm che accusa Venditti di corruzione in atti giudiziari per la sua gestione dell'indagine sul delitto di Garlasco. Qui siamo in un altro campo, ben più vasto dell'insabbiamento delle accuse a Andrea Sempio per l'uccisione di Chiara Poggi, che a Venditti viene contestato dopo il ritrovamento del suo nome in un appunto a casa Sempio. Il "caso San Matteo" è per la Procura di Brescia uno degli esempi più eclatanti del "Sistema Pavia", la commistione di politica e affari privati che per dieci anni, sotto la gestione di Venditti, avrebbe governato la giustizia nella città sul Ticino.

Su richiesta di Prete e della Moregola, la Guardia di finanza di Brescia ha passato al setaccio tutte le inchieste più importanti condotte da Venditti alla ricerca di anomalie, e il San Matteo è saltato all'occhio. L'interrogatorio del governatore Fontana è stato solo il primo di una serie con cui i pm bresciani si sono messi a ricostruire la vicenda. Dalle testimonianze raccolte sarebbe emerso che a mettere in moto l'indagine sono gli appetiti del grumo di potere che comandava in città, deciso a mettere le mani sul San Matteo, dove Venturi era considerato un corpo estraneo, non avvicinabile. L'obiettivo era mettere gli uomini "giusti" nei posti chiave dell'ospedale: dalla direzione, alla mensa, alla sicurezza: per quest'ultima si era candidato l'ex colonnello dei carabinieri, Maurizio Pappalardo, assai legato a Venditti, attualmente agli arresti e sotto processo per corruzione. Venturi resiste, il grumo un po' lo minaccia e un po' lo blandisce. Fino al passaggio più incredibile emerso ora nelle indagini bresciane: appena parte l'inchiesta a suo carico, Venturi viene avvisato che il suo telefono è stato messo sotto controllo. Chi è ad avvisarlo? Secondo quanto starebbe emergendo, a mettere in guardia Venturi è il capo del personale dell'ospedale, Elena Galati: che è anche la moglie del procuratore Venditti.

Ma l'indagine non si ferma a Venturi: Venditti e Mazza fanno il salto di qualità, e oltre a quello di Fontana vanno a sequestrare i telefoni anche dell'assessore alla Sanità Giulio Gallera e la segretaria del governatore, Giulia Martinelli. Ufficialmente vanno alla ricerca di chat con Venturi che il presidente dell'ospedale avrebbe cancellato, ma intanto fanno copia di tutto il contenuto.

Era stata, all'epoca, una mossa di durezza quasi incomprensibile: le accuse a Venturi riguardavano l'accordo che, nel marasma di quei mesi, il San Matteo aveva stretto con una azienda, la Diasorin, che produceva test sierologici per il Covid. Tre anni dopo, sarà lo stesso Mazza a chiedere l'assoluzione con formula piena di Venturi e del suo direttore generale, Carlo Nicora. Ora, tutto finisce sotto il microscopio della Procura di Brescia: insieme ad altre indagini anomale.