Riccardo Chailly celebra i cinquant’anni dalla morte del compositore ribelle

Scritto il 06/12/2025
da Giovanni Gavazzeni

Simbolo di talento e libertà, il grande russo fu addirittura costretto a fare una versione più accettabile per il regime

Una Lady Macbeth del distretto di Mzensk, l’opera che apre la stagione 2025/26 del Teatro alla Scala sotto la guida di Riccardo Chailly, è un omaggio ai 50 anni dalla morte del suo autore, Dmitrij Dmitrievic Šostakovic.
Il compositore russo sovietico più famoso del tempo, la cui statura ha acquistato col passare dei decenni sempre maggior grandezza, moriva il 9 agosto 1975. Il suo feretro venne omaggiato da un’enorme folla di popolo russo, e tra galoppini e burocrati, gli resero omaggio figure leggendarie. Come tradizione alcuni musicisti suonarono «dal vivo» durante la veglia: membri del Quartetto Glinka furono costretti ad eseguire l’andante del secondo quartetto di Cjaikovskij, nonostante la vedova, Irina Antonovna, ricordasse trattarsi di un brano particolarmente detestato dal marito.
La sepoltura si tenne nel pantheon sovietico, il cimitero del Monastero delle Nuove Vergini di Mosca, al suono della marcia funebre di Chopin: fra gli artisti presenti un’insigne docente del conservatorio riassunse il pensiero di tutti: «Questa è la fine della strada – il capolinea».
Una strada che era diventata patrimonio di tutti i russi, perché aveva conosciuto ascese e cadute straordinarie, a partire dal formidabile slancio febbrile dei creativi anni Venti, in cui il giovane Mitja lasciava di stucco nel debutto come sinfonista e autore di una satira operistica perfetta, Il naso, un’opera che ha segnato nella versione italiana con la regia di Eduardo De Filippo il primo incontro di Riccardo Chailly con la musica del compositore russo. Passare dal fervore libertario all’inferno della violenta censura per l’opera Lady Macbeth, costrinse Šostakovic a nascondere opere già scritte come la Quarta sinfonia, e preparare un’imprevedibile resurrezione dalle ceneri con la concentrazione espressiva della Quinta e la consacrazione ad aedo nazionale con la famosa Settima sinfonia Leningrado, della quale gli alleati occidentali fecero a gara nel contendersi l’esecuzione.
Ma la fama ormai mondiale acquisita durante gli anni di guerra, non evitò la purga e la tremenda campagna denigratoria per l’accusa di formalismo decadente di cui fu vittima nel 1948. Sarabanda folle in cui ogni oscuro membro dell’Unione dei Compositori poteva emettere per invidia o per stoltezza critiche che cadevano come mannaie sulle opere di artisti di grande levatura come Prokof’ev, Chacaturjan, Miaskovskij. Quando morì Stalin e iniziò il periodo del Disgelo, le cose non cambiarono completamente, tanto che alcuni «colleghi» dell’apparato riuscirono prima a decapitare per la seconda volta la possibilità di riammettere la censurata Lady Macbeth nel circuito operistico, poi procrastinandone il ritorno con una versione «più addomesticata», intitolata Katerina Izmajlova, che segnò comunque il ritorno dell’opera nel repertorio internazionale a partire dal 1963, mentre oggi si è ritornati alla potenza della versione originale.
In questa macabra altalena della sorte, lascia ammirati come il compositore, sempre tormentato dalle omissioni delle memorie scomode, non temesse di affrontare già nel 1962 soggetti di cui si preferiva non parlare come avviene nella Tredicesima sinfonia, su testi di Evgenij Evtushenko. Nella prima poesia viene evocato il massacro di Babi Yar, «un burrone ripido» che divenne l’unica lapide per 33.771 ebrei di Kiev massacrati nel giorno di Kippur 1942 da reparti di SS e collaborazionisti ucraini che ridevano e sparavano. Nell’Unione Sovietica del Disgelo l’apparato politico convinse il suo amico e direttore numero uno, Evgenij Mravinskij, a non dirigere la prima, tradendo un’amicizia di decenni. Almeno tre solisti non si resero disponibili per la «prima», guidata coraggiosamente da Kirill Kondrašin, nonostante una telefonata del Ministro della Cultura russo, subdola e intimidatoria («Sta bene?» «Potrebbe omettere il primo movimento?»).
Pagine che si intrecciano ad un calvario personale di problemi fisici, iniziati nel 1958 con la diagnosi di una sclerosi laterale amiotrofica che colpì la parte destra del corpo, alla quale poi si aggiunsero problemi cardiaci e conseguenti infarti e un devastante cancro al polmone.
E in quella stagione dell’estrema fase creativa spesso tornano memorie delle sue musiche passate, come nell’Ottavo e nel Quattordicesimo quartetto e nella Quindicesima Sinfonia, dove, come ha scritto il compositore Alfred Schnittke «il materiale tematico tratto dalle sue prime opere si mescola in collage con il materiale preso in prestito dalla storia della musica precedente, e si crea un effetto sorprendente». GG.