Sigfrido come la Palestina. L'idea originale non è di Giuseppe Conte, qualcuno sostiene che sia l'equazione elementare buttata lì da un consigliere di Elly Schlein appena saputo dell'attentato, altri raccontano che si tratti solo di una battuta scappata a colazione in un programma televisivo del mattino. L'unica cosa certa, e forse un po' troppo cinica, è che Sigfrido Ranucci si ritrova, senza affatto volerlo, a riempire un vuoto politico, con la speranza ancora una volta di far diventare le piazze il baricentro dell'opposizione contro un governo sentito in modo viscerale come illegittimo. È il rovesciamento del senso della democrazia, perché se a vincere le elezioni sono gli "altri" ogni scusa è buona per rivendicare il pericolo imminente del regime riapparso dal passato. Come si fa a non vederlo? La segretaria del Pd è sicura che la bomba contro Ranucci sia il segnale di una dittatura di destra. Il capo dei Cinque Stelle è più accorto, non tira apertamente in ballo il governo ma chiama le folle e dice: ci vediamo martedì in piazza e viva la stampa libera. Il non detto però è che a minacciare Ranucci, e tutti i giornalisti d'inchiesta, sia sempre lei, la signora in nero, quella che occupa abusivamente Palazzo Chigi, e già colpevole di complicità in genocidio e in subordine di sottomissione al tiranno a stelle e strisce, perfino con un maschile che diventa femminile, cortigiano e cortigiana, forse per ignoranza sindacale o, più probabile, per un insulto salace mascherato da inconsapevolezza. Ora, in un tempo un po' meno surreale di questo, un'opposizione con un progetto politico forte troverebbe ragioni meno ridicole per contestare il governo o, magari, di fronte al dramma e a pericoli reali si interrogherebbe, insieme alla maggioranza, su come tutelare davvero il mestiere di giornalista. Sono passati quarant'anni dall'assassinio di Giancarlo Siani, colpito sotto casa sua da dieci colpi alla testa, nel quartiere napoletano dell'Arenella. Sigfrido non teme la Meloni, ma sospetta che a minacciarlo ci sia quello stesso mondo. Lo dice lui stesso: "Credo che sia un'opera di qualcuno legato alla criminalità o che si serve della criminalità. Non vedo scenari di mandanti politici, la politica ha altri strumenti se vuole fare male". Allora va bene scendere in piazza nel nome di Sigfrido, il punto è capire per cosa. Si può andare in piazza per affetto o per solidarietà. Si può andare in piazza per dire: non ci fate paura. Si può andare in piazza per rivendicare, con un grido alto e nobile, il principio universale della libertà di stampa. C'è una sola cosa che davvero rischia di svilire quello che è successo. È fare di Ranucci una bandiera estemporanea per riempire un vuoto. È rendere Sigfrido lo strumento fuori luogo dell'odio viscerale contro Giorgia Meloni, quella a cui viene tolta la dignità, e l'umanità, di essere considerata un'avversaria politica. È fare di queste piazze, messe su in nome di Sigfrido Ranucci, solo una finzione. Non se lo merita.